La Daga del DestinoCapitolo 4

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    5 Marzo 1192
    Giorno 7
    Todwick



    Sono seriamente preoccupata. Non per Guy: la ferita è pulita e lui sembra stare meglio, sempre escludendo la perdita di memoria.
    No, la mia preoccupazione è dovuta al fatto che sono passati più di due giorni e ci troviamo bloccati in questo villaggio perso in mezzo a chissà quale contea. La carrozza sarà arrivata a York? Anche contando sulla stupidità dei soldati dello sceriffo, una vettura vuota non farebbe tanta strada. Ed il pezzo della daga? Così piccolo... non oso immaginare le conseguenze di una caduta fuori dalla carrozza di un frammento così minuscolo.
    Resteremo in questo villaggio ancora un giorno, non possiamo tardare oltre. Guy deve rimettersi in fretta, deve riuscire a salire a cavallo. Se magari riuscissi a chiedere un piccolo carro a qualcuno...


    Appoggiò la penna, distratta da delle voci provenienti dal cortile. Martine s'era alzata poco prima dell'alba, lasciando dormire Guy e salendo nella stanza che un tempo era stata del malato Henry Trent. S'era cambiata d'abito e data una rinfrescata rapida.
    Fino a quel momento gli unici rumori che avevano accompagnato lo scorrere della penna sul diario erano stati il canto del gallo ed i passi di lady Trent che scendeva le scale.
    Si affacciò alla finestra e sbarrò li occhi: Guy stava in piedi in mezzo al cortile.
    Indossava una larga camicia ingrigita e macchiata di fango, e teneva una mano in avanti come per difendersi. Martine vide quattro uomini avvicinarsi a Guy e il loro tono di voce non era per nulla amichevole. La ragazza corse verso la porta.

    “Mia figlia è morta per colpa dello sceriffo! Non abbiamo altro denaro! Voi l'avete uccisa!”
    Un giovane stringeva un bastone di legno nella mano, il volto paonazzo dalla rabbia. Gli altri intorno a lui annuivano, stringendo a loro volta delle armi improvvisate e aggiungendo frasi d'odio sullo sceriffo.
    Guy rimaneva immobile, guardandoli uno ad uno negli occhi. Aveva paura. Lo avevano già spinto nel fango e presto lo avrebbero picchiato. Ma non era questo a spaventarlo. Erano gli sguardi di rabbia e disperazione a ferirlo.
    Cosa c'entro con il loro dolore? Cosa ho fatto per meritarmi questo? Sono stato io? Chi sono io...
    Un bastone calò rapido, colpendolo al fianco. Guy urlò e si strinse il braccio, indietreggiando.
    “Io non... io non...” borbottava, mentre i contadini lo accerchiavano e a turno sfogavano la propria rabbia sull'uomo indifeso.
    Un urlo interruppe la rapida successione di bastonate e Guy, ormai rannicchiato su sé stesso, aprì gli occhi per guardarsi intorno. Vedeva solo una donna di spalle, l'orlo della veste che gli sfiorava le mani.
    “Lasciatelo stare! Non azzardatevi ad avvicinarvi a lui!” La voce della donna era acuta e tremante, e per qualche istante i contadini rimasero immobili.
    “Spostati ragazza, stiamo solo facendo giustizia” spiegò il più giovane, stringendo sicuro il proprio bastone.
    “Non ti avvicinare o sarò costretta ad usarlo!”
    Guy aveva riconosciuto la voce di Martine e, mentre cercava di rimettersi in piedi, notò che la giovane puntava un piccolo pugnale in direzione degli assalitori.
    “Ragazza, stai difendendo un criminale ed un assassino. Spostati o saremo costretti a farti del male.”
    Criminale? Assassino?
    Quelle parole ferirono Guy più forte delle bastonate, e l'uomo si chiese quanto ci fosse di vero in tutto ciò. Le immagini sfuocate che credeva essere incubi terribili erano in realtà ricordi del suo passato?
    “No, spostatevi voi. Mi sto trattenendo anche troppo. Ancora un altro passo e...”
    “FERMI!”
    La voce richiamò l'attenzione di tutti verso l'ingresso della casa. Henry Trent stringeva una balestra tra le mani, senza però puntarla contro nessuno ma tenendola bassa.
    “Non tollero atteggiamenti simili nelle mie terre. Voi” disse, rivolgendosi ai contadini. “Tornate al lavoro e lasciate stare i miei ospiti.”
    “Ma signore... questi è Gisborne! Il braccio destro dello sceriffo!” protestò il giovane padre che aveva perso la figlia.
    Henry attraversò il cortile senza fretta, la balestra nella mano che oscillava al fianco ad ogni passo. Si avvicinò al contadino, sovrastandolo senza problemi e fissandolo intensamente. Il giovane gettò il bastone a terra e si allontanò rapidamente, seguito dagli altri contadini. Il padrone di casa li seguì con lo sguardo fino a che non furono abbastanza lontani, poi si volse verso i propri ospiti.
    “Vi chiedo perdono, ma credo comprenderete il loro malcontento. Spero non siate ferito” aggiunse, rivolto a Guy. L'uomo, che si massaggiava le braccia, scosse la testa.
    “E spero non dobbiate più farne mostra nelle mie terre” disse infine, indicando il pugnale nelle mani di Martine.
    “Vi ringrazio, signore. Ma state tranquillo: vi libereremo presto della nostra scomoda presenza.”
    Henry sorrise tristemente e, accennando un inchino con la testa, si allontanò, rientrando in casa.
    Martine sbuffò rabbiosa, imprecando contro lo sceriffo, prima di rivolgere le proprie attenzioni a Guy.
    “Stai bene? Guarda qui... dopo tutta la fatica per rimetterti in forze... stupidi campagnoli! Fammi vedere la testa. Bene, la ferita non sembra essere peggiorata. Ma guarda qua, stanno già comparendo i lividi...”
    Guy si lasciava toccare dalle piccole mani della giovane, incurante del dolore che pulsava sulle braccia e sulla schiena, le parole dei contadini che ancora echeggiavano nelle orecchie.

    Martine lo aveva fatto salire nella propria stanza e aveva chiuso la porta a chiave. Avrebbero lasciato quella casa il giorno stesso.
    Henry era stato gentile, così come sua moglie Rose; ma era chiaro che entrambi condividevano l'idea dei contadini e gli ospiti scomodi non avevano alcuna garanzia di sopravvivere a lungo lì dentro.
    “Ci sono degli abiti da uomo nel baule, dovrebbero andarti bene. Prima di andarcene proverò a recuperare le tue cose nella stanza di sotto, ma farai bene a cambiarti alla svelta ed indossare qualcosa di asciutto e pulito.”
    Martine infilò degli abiti di Rose nella sacca, nascondendovi in mezzo il proprio diario. Si sentiva in colpa nell'appropriarsi delle cose altrui, anche se avrebbe lasciato comunque del denaro come ringraziamento. Afferrò anche gli abiti di Henry e li pigiò nella sacca.
    “Guy, sbrigati! Hai bisogno di aiuto? Stai male?”
    L'uomo se ne stava immobile a fissare il pavimento, incurante del fango che gli imbrattava faccia e abiti. Alzò lo sguardo e fissò la giovane.
    “Sono... un assassino?”
    Martine sussultò, colpita da quella domanda. Le accuse che i contadini avevano rivolto a Guy dovevano averlo colpito molto più di quanto pensasse. Dopotutto, l'uomo aveva perso la memoria e tutta la rabbia che lo circondava non doveva essere facile da assimilare.
    “Ne parleremo una volta usciti di qui” rispose la giovane, chiudendo a fatica la sacca.
    “No. Adesso.”
    Il tono di Guy la fece rabbrividire. Per un istante le sembrò l'uomo freddo che l'aveva accolta in malo modo a Nottingham pochi giorni prima.
    Stanca per l'emozione appena provata, per le fatiche del giorno prima e per tutto lo stress accumulato, Martine decise di dire la verità. Si sedette sul letto e fissò seria l'uomo.
    “Ti chiami Guy di Gisborne. Sei il braccio destro dello sceriffo o, meglio, il suo schiavetto tuttofare. Non ti conosco da abbastanza tempo per fare nomi, ma devi aver ucciso e fatto del male a molta gente nella tua vita. Ti odiano, vorrebbero vederti morto e a te non interessa altro che acquisire una terra che sia solo tua, sposare una donna che non ti ama ed uccidere un uomo la cui colpa è quella di servire fedelmente e giustamente Re Riccardo. Questo sei tu.”
    Era stata fredda e diretta, e si stupì della propria crudeltà. Il cuore batteva forte e delle lacrime erano pronte a sgorgare da un momento all'altro.
    Guy era rimasto immobile, senza mai abbassare lo sguardo e assimilando ogni singola parola. Il silenzio scese nella stanza, e Martine riusciva a sentire le voci dei Trent che discutevano al piano di sotto. Dovevano andarsene. Subito.
    “Guy, scusami... non volevo... ma noi dobbiamo andare...”
    “Grazie.”
    Martine rimase spiazzata da quella singola parola. Lo aveva appena descritto come un mostro e lui la ringraziava? Le lacrime presero a scendere copiose e la giovane cercò di fermarle, asciugandosi con la manica del vestito e tirando su col naso.
    Guy si avvicinò e la strinse a sé, provocando ancora più spasmi e lacrime nella giovane.
    “Sono una stupida piagnona! Ma sono spaventata, ho paura. Tanta paura.”
    “Di me?” chiese in un sussurro.
    Martine sentiva che anche il cuore di Guy batteva veloce e la sua stretta non era ferma. Tremava.
    “A volte... sì... ho paura della parte di te che non conosco...” confessò, stupendosi della sincerità delle parole che uscivano a stento tra un singhiozzo e l'altro.
    “Vorrei potermi scusare per quella parte di me che ti spaventa, ma purtroppo non so chi sia. Non conosco questo Gisborne dalle mani sporche di sangue e spero di non doverlo conoscere mai. Ho paura anch'io, ma di quello che non so di aver fatto. Ho paura di quello che dovrò fare per non essere colui che tutti temono. Ma ti giuro che nessun male ti verrà mai fatto da me. Te lo giuro. Chiunque io sia.”
    Martine si commosse a quelle parole e pianse ancora qualche lacrima, prima che Guy gliele asciugasse con le proprie mani. Le sorrise, le labbra tremanti e gli occhi lucidi che la fissavano, ansioso di sapere come lei aveva preso quelle parole.
    La giovane non sapeva che dire. Era come se avesse davanti una persona diversa, uno sconosciuto dolce e premuroso. Non aveva mai dubitato del fatto che Guy possedesse un cuore in grado di amare, ma prima della perdita della memoria c'era sempre stata un ombra ad oscurare i veri sentimenti dell'uomo. Se era stata in grado di innamorarsi della versione fredda e misteriosa di Guy, ora il cuore le si scioglieva di fronte a quella dimostrazione di affetto.
    “Io ti conosco e so che non potresti farmi del male.”
    L'uomo sorrise e sembrò sollevato. Le accarezzò le guance umide dalle lacrime e le posò un bacio sulla fronte.
    “Mi cambio e poi possiamo andare.”
    “Credi di potercela fare?”
    “A cambiarmi? Ho perso la memoria, non l'uso delle braccia.”
    Martine avrebbe voluto tirargli un pugno amichevole sulla spalla, ma si trattenne: Guy era stato picchiato abbastanza per quel giorno.
    L'uomo cominciò a spogliarsi, gettando gli abiti sporchi di fango sul pavimento. Stava già slacciando i pantaloni quando la giovane, arrossendo, quasi inciampò per dargli le spalle.
    “Hai perso anche il senso del pudore?”
    “Ti vergogni a vedermi nudo? Pensavo non ci fossero problemi.”
    “Santo cielo, Guy!” esclamò imbarazzata la giovane.
    Sentì che l'uomo si avvicinava a lei e si chiese cosa passasse per la testa di Guy.
    “Avrò perso la memoria... ma ho certi ricordi di te... di noi. E' tutto molto confuso, ma ricordo la tua pelle sulla mia...” e le sfiorò la schiena, facendola sussultare.
    “Vado a recuperare le tue cose!”
    Martine corse via, quasi inciampando sugli abiti sporchi sparsi sul pavimento. Lo fissò imbarazzata qualche istante, prima di chiudere la porta dietro di sé. Guy rise e, dolorante, finì di cambiarsi gli abiti, sciacquandosi via il fango alla ben e meglio.
     
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